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mercoledì 25 giugno 2014

Lampade a Ioduri Metallici o a scarica

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Lampade a Ioduri Metallici o a scarica

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La lampadina a scarica è un tipo di lampadina basata sull’emissione luminosa per luminescenza da parte di un gas ionizzato. La ionizzazione del gas è ottenuta per mezzo di una differenza di potenziale, che fa migrare gli elettroni liberi e ioni positivi ai diversi capi della lampada (dove sono presenti gli elettrodi).
È costituita da una ampolla e/o un tubo di vetro o quarzo contenente il gas e almeno due elettrodi tra cui avviene la ionizzazione del gas, il quale rilascia fotoni. Possono essere presenti elettrodi supplementari per l’innesco. Solitamente le lampade a bassa pressione sono a forma di tubo diritto o curvato a U, mentre le lampade ad alta pressione sono costituite da una piccola ampolla di quarzo (adatto a resistere a temperature più elevate). La lampada può essere contenuta in un involucro in vetro con la funzione di schermare i raggi ultravioletti, ospitare eventuali elementi accessori e proteggere il tubo.
L’emissione luminosa è monocromatica o limitata alle righe di emissione spettrale del gas contenuto, se questo è a bassa pressione. Il gas può anche essere il vapore di un elemento solido o liquido, per esempio mercurio o sodio. In questo caso però la lampada non è subito efficiente, poiché è necessario che il materiale evapori o sublimi per effetto del calore prodotto dalla scarica nel gas accessorio. Possono essere necessari diversi minuti perché la lampada inizi a produrre una luce accettabile, e in molti casi questo è un grave limite.

I tipi di alimentazione delle lampade a scarica

La caratteristica tensione/corrente di una lampada a scarica presenta una soglia a tensione costante in corrispondenza di una intensità di corrente caratteristica dipendente dal gas, dalla temperatura e dalle condizioni di funzionamento, ne consegue che l’alimentazione deve avvenire in corrente costante, per ottenere questo si pongono in serie al tubo degli induttori o meno frequentemente dei condensatori o resistenze.
La tensione di rete non è sufficiente per innescare la scarica, per cui è necessario provvedere con opportuni circuiti a provocare una prima ionizzazione del gas. Questo può essere ottenuto provocando un momentaneo aumento della tensione di alimentazione per mezzo di trasformatori e starter, oppure applicando un impulso di alta tensione (migliaia di volt) a un elettrodo posto sulla superficie esterna del tubo: il campo elettrico generato è sufficiente ad avviare la ionizzazione. In altri tubi è presente un elettrodo di innesco posto a brevissima distanza da uno dei due elettrodi ordinari: questo elettrodo viene brevemente alimentato con la normale tensione di rete che, data la distanza ridotta, è ora sufficiente per innescare un piccolo arco; il riscaldamento e l’emissione di ioni e radiazioni provoca l’innesco del restante gas.
Un ulteriore metodo per accendere la lampada è quello di sottoporla a un campo elettromagnetico ad alta frequenza, da decine di kilohertz a molti megahertz. Esistono inoltre lampade a induzione in cui non si hanno connessioni elettriche tra l’interno e l’esterno del tubo e il gas viene ionizzato da una radiazione elettromagnetica indotta dall’esterno: questo fenomeno si può osservare anche con le normali lampade fluorescenti che, se accostate a forti sorgenti di campi elettromagnetici, come l’antenna di un potente trasmettitore radio, emettono luce.
Una volta innescata la scarica con uno dei metodi descritti, questa si propaga a valanga a tutto il gas, il quale si mantiene ionizzato indefinitamente. In condizioni di regime la tensione ai capi del tubo si mantiene a valori più bassi della tensione di rete e non è più necessario l’intervento dei circuiti accenditori.

Quali sono le lampade a scarica più comuni

Sodio a bassa pressione (SOX): Il principio di funzionamento si basa su una scarica elettrica in un ambiente gassoso composto da Ar+Ne+Na. Durante l’accensione a freddo, il sodio è depositato attorno al bulbo interno e la scarica avviene in una miscela Penning composta da Argon e Neon. La scarica in questa miscela provoca il repentino riscaldamento della lampada, fino a raggiungere la temperatura di fusione del sodio. A quel punto, il sodio vaporizza e viene ionizzato dalla scarica, facendo assumere così la caratteristica emissione monocromatica gialla del sodio.
L’emissione è in luce monocromatica gialla alla lunghezza d’onda caratteristica di emissione del sodio, di 589 nanometri. È usata nell’illuminazione stradale in incroci soggetti a nebbia. Grazie all’emissione monocromatica in una lunghezza d’onda ottimale per l’occhio umano, presenta una efficienza luminosa molto elevata. Come una comune lampada a vapori di mercurio a bassa pressione, questa non ha bisogno di un ciclo di raffreddamento in caso di interruzione dell’alimentazione ma, a differenza di questa, richiede un tempo di riscaldamento molto lungo (circa 6-10 minuti), durante i quali emette la caratteristica luce rossa/rosata del neon presente al suo interno.
Sodio ad alta pressione (SON): Aumentando la pressione, il vapore di sodio si allontana dallo stato di gas ideale e il suo spettro di emissione si allarga rispetto alla riga spettrale monocromatica tipica. La luce prodotta da queste lampade è di colore tendente al giallo (2000-2500 K), caratteristica che le rende adatte per applicazioni in cui la resa dei colori è gradita, ma non fondamentale (es. illuminazione stradale). Il rendimento luminoso è elevato (fino a 150 lumen/watt nelle ultime esecuzioni Super a migliore rendimento) ed elevata è la durata di vita (oltre 16000 ore). Particolari accorgimenti costruttivi fanno fronte all’aggressività chimica del sodio. In caso di interruzione dell’alimentazione, salvo ballast particolari in grado di generare tensioni di 30-70Kv, la lampada necessita di un ciclo di raffreddamento di 3-5 minuti. A fine vita, a causa dell’esaurimento del sodio nel tubo, queste lampade diventano instabili durante il funzionamento, causando il fenomeno della repentina accensione e spegnimento, spesso osservabile nei lampioni stradali, fino a quando non sono più in grado di riaccendersi
Sodio ad altissima pressione (SDW): Il funzionamento di questo tipo di lampada è comparabile con quello delle lampade SON, ma differisce la pressione interna del gas: aumentando la pressione lo spettro di emissione si arricchisce di linee spettrali, rendendo questa lampada una valida alternativa alle comuni lampade a ioduri metallici in ambienti dove il rischio di contaminazione in seguito a esplosione deve essere evitato. La luce prodotta da queste lampade è di colore bianco tendente al giallo (2000-2500 K), caratteristica che le rende adatte per applicazioni in cui la resa dei colori è importante (es. l’illuminazione di banchi alimentari) La relativa alta pressione nei vapori di sodio è la causa principale della bassa efficienza di questo tipo di lampade (50 lm/w).
Ioduri metallici (HMI): L’introduzione nelle lampade ai vapori di mercurio o di sodio ad alta pressione di ioduri metallici (iodio, tallio, indio, disprosio, olmio, cesio, tulio) migliora la resa dei colori delle lampade al sodio e dà loro una temperatura di colore molto elevata (4000-5600 K).
La loro resa cromatica le rende particolarmente adatte all’illuminazione di impianti sportivi, o nei videoproiettori digitali, dov’è necessario avere un’alta resa dei colori.
Grazie alla loro compattezza, alle svariate forme e potenze e tonalità disponibili, all’elevata efficienza luminosa compresa tra 80 e 100 lumen/watt, all’elevata resa cromatica IRC 80-90 e fino a 95 nelle tonalità “D” (Daylight) con gradazione di 5600 kelvin, alla lunga durata (fino a 12000 ore), sono oggi divenute tra le lampade maggiormente diffuse. Sono adatte per illuminare aree commerciali o pedonali, zone residenziali, strade, monumenti, grandi superfici esterne. Grazie alla continua evoluzione gli ultimi modelli disponibili sono molto compatti e dalla luce molto simile a quella delle lampade ad alogeni (IRC 90 e 2500-3000 kelvin), trovano impiego anche in spazi interni come uffici, foyers di alberghi e ristoranti.
A livello di inquinamento luminoso sono peggiorative rispetto alle lampade al sodio alta pressione data la ricchezza dello spettro luminoso di emissione ma in termini di comfort visivo e gradevolezza della luce emessa sono preferibili in tutte quelle applicazioni ove sia necessario offrire un’illuminazione di alta qualità. Le lampade ai vapori di ioduri metallici e ai vapori di sodio necessitano, per essere accese a freddo, di appositi accenditori che producano impulsi di tensione di innesco compresi tra 0,75 e 5 kV.
Secondo il modello di lampada possono essere necessari dai 2 ai 10 minuti per il raggiungimento del pieno flusso luminoso e, in caso di spegnimento accidentale, spesso è necessario attendere il raffreddamento della lampada (2-15 minuti) per la riaccensione, a causa della elevata tensione di innesco che sarebbe necessaria per la riaccensione a caldo (25-60 kV) e alcune particolarità fisiche che, nel caso di lampade non progettate per la riaccensione a caldo, renderebbero il bulbo presto inutilizzabile.
La corrente di spunto della lampada può arrivare a essere superiore del 90% rispetto al valore di regime, inoltre se queste lampade vengono alimentate con ballast elettromagnetici, è necessario il rifasamento a causa del fattore di potenza piuttosto basso (da 0,3 a 0,7 secondo il modello).
Vapore di mercurio a bassa pressione: Emettono prevalentemente nello spettro ultravioletto. La luce emessa è ionizzante e dannosa per esposizione diretta. Vengono usate per sterilizzare ambienti e oggetti. Se l’interno del tubo viene rivestito con materiale fluorescente in grado di assorbire l’energia ultravioletta e riemettere nello spettro visibile, si ottiene la lampada fluorescente. In caso di interruzione dell’alimentazione, la lampada non necessita di un ciclo di raffreddamento.
Vapore di mercurio ad alta pressione: Con l’aumento della pressione l’emissione si sposta in luce bianca-azzurra, rendendo la lampada utilizzabile per l’illuminazione. La tipica luce bianco-azzurrina (3300 – 4200 K) viene prodotta dall’arco di scarica e corretta da fosfori (a base di vanadato d’ittrio) presenti nella finitura polverata del bulbo esterno che migliorano lo spettro soprattutto nella gamma del giallo e del rosso. Nelle lampade prive di rivestimento interno al vanadato d’ittrio la resa cromatica è infatti più bassa e dalla tonalità sensibilmente più fredda.
Questo tipo di lampada è sempre più in disuso a causa dei numerosi svantaggi rispetto ad altre tecnologie: bassa efficienza luminosa (
Proprio a causa della elevata presenza di mercurio il 13 febbraio 2003 è entrata in vigore la direttiva comunitaria 2002/95/CE sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (c.d. Direttiva “RoHS”). Essa ha come effetto la messa al bando delle lampade al mercurio ad alta pressione dal territorio europeo. La vendita e l’installazione di queste lampade (ai privati) è stata vietata a partire dal 1º luglio 2006. Vengono sostituite da lampade a vapori di sodio fatte per la sostituzione diretta (catalogo OSRAM).
Vapore di mercurio ad altissima pressione: Le lampade a scarica in mercurio ad altissima pressione UHP sono lampade a scarica di mercurio la cui pressione può superare le 200 atmosfere. Vengono usate principalmente per illuminare sistemi di proiezione a causa dell’alta efficienza e compattezza.
A luce miscelata: Si tratta di lampade al mercurio ad alta pressione in cui il reattore di alimentazione è sostituito da un filamento, che funge da limitatore di corrente, collocato assieme alla lampada in un tubo secondario. Durante il funzionamento, il filamento diventa incandescente ed emette luce come in una lampada a incandescenza, che miscelata con quella prodotta dal mercurio offre una tonalità più naturale. Per contro si ha un notevole abbassamento del rendimento energetico fino a eguagliare quello di una comune lampada a incandescenza. (18-25 lumen/watt) Inoltre hanno seri limiti sulle posizione di funzionamento (quelle sul catalogo osram NON possono essere messe orizzontali) perché il filamento invecchiando si allunga e può toccare parti interne in tensione. La durata di queste lampade è intorno a 5000 ore. La soluzione più economica e semplice per il loro rimpiazzo è l’uso di lampade alogene di pari potenza o maggiore e un variatore di luce per l’utilizzo a potenza ridotta (pratica comunemente utilizzata)


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lunedì 16 giugno 2014

Autoclave Sterilizzazione in Estetica





Autoclave Sterilizzazione in Estetica 

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Sicurezza ed igiene nei centri estetici

La sterilizzazione degli strumenti è un’attività obbligatoria per legge, che richiede semplici e facili passaggi, oggi un centro estetico che intende qualificare la propria attività deve avere l’autoclave.
I rischi di infezione all’interno di centri estetici sono molteplici ed evidenti, gli operatori più a rischio sono le stesse estetiste che quotidianamente eseguono trattamenti di manicure e pedicure. Statisticamente più del 3% della popolazione italiana è ammalata di epatite C, ciò significa che su 30 persone che entrano in un centro estetico almeno una ( statisticamente) ha l’epatite C. A maggior ragione si impone un sistema di sterilizzazione sicuro e certificato in grado di mettere al riparo dalle infezioni tutti i soggetti che entrano nell’istituto.
Cosa dice la legge.
Il nuovo testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.lgs 81-2008) impone severe misure di prevenzione contro ogni rischio relativo alla sicurezza, in particolare obbliga tutti gli operatori (quindi anche gli istituti di estetica) a redigere un documento sulla valutazione dei rischi che deve contenere:
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività’ lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati.
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.
All’estetista suggeriamo di scrivere le procedure di sterilizzazione utilizzate nel proprio istituto e tenerle a disposizione per eventuali controlli.
La mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi può causare la sospensione dell’attività da parte degli organi di vigilanza (NAS – ASL ) art 4 D.LGS 81-2008.
La legge impone anche di rispettare il
PRINCIPIO DI FATTIBILITA’ TECNOLOGICA
“Le misure di prevenzione e protezione devono essere periodicamente aggiornate allo stato della scienza e della tecnica più evolute”.
Ciò significa che per sterilizzare occorre dotarsi dell’apparecchiatura tecnologicamente e scientificamente più avanzata, non c’è dubbio che questa apparecchiatura oggi sia L’AUTOCLAVE.
PROCEDURE DI STERILIZZAZIONE
Per effettuare una corretta sterilizzazione occorre rispettare poche, ma precise procedure. Soltanto una corretta applicazione di tutti i passaggi obbligatori garantisce la certezza del risultato.
LA DISINFEZIONE
La disinfezione è la prima fase del ciclo di sterilizzazione. La disinfezione ha una doppia valenza: una di tipo biologico, in quanto serve ad abbattere la carica batterica portando gli strumenti a livello di sicurezza; il secondo aspetto, di tipo normativo, fa espresso riferimento al ex DLGS 626/94 sulla tutela della salute del lavoratore.
LA DETERSIONE
Nel caso in cui sullo strumento fossero depositati residui di sangue o avesse particolari evidenze di contaminazioni è necessario sottoporlo ad una detersione in ultrasuoni.
ASCIUGATURA
L’asciugatura degli strumenti può essere eseguita manualmente con adeguati dispositivi di protezione (guanti) per evitare tagli o punture. Lo strumento è ancora potenzialmente contaminato, pertanto è necessaria la massima attenzione. La mancata asciugatura degli strumenti prima dell’imbustatura può creare:
A) Corrosione degli strumenti
B) Ossidazione degli strumenti
C) Formazione di macchie biancastre
D) Disturbo al ciclo di sterilizzazione
CONFEZIONAMENTO
Il confezionamento permette di conservare sterili gli strumenti per 30 giorni, si possono utilizzare comode buste autosigillanti. Dopo avere imbustato gli strumenti le buste devono essere messe in autoclave.
STERILIZZAZIONE CON L’AUTOCLAVE
L’AUTOCLAVE è semplice e facile da utilizzare, assicura al 100% la completa sterilizzazione degli strumenti. Perché sterilizzare con l’autoclave?:
•è obbligatorio sterilizzare con l’apparecchiatura scientificamente e tecnicamente più evoluta
•esprime professionalità
•fidelizza i propri clienti
•fa vendere di più
•rappresenta il futuro di ogni centro estetico
L’autoclave di classe S , oltre a sterilizzare strumenti imbustati, è dotata di una stampante integrata che da immediata visione dell’avvenuta sterilizzazione. Lo scontrino emesso dalla stampante ha valenza di prova giuridica in caso di contenzioso, infatti l’estetista DEVE sempre essere in grado di dimostrare di avere sterilizzato gli strumenti.
Auspichiamo che tutte le estetiste prendano maggiore coscienza dei rischi di infezione presenti all’interno dell’istituto e che non sottovalutino questo aspetto della loro professione. Oggi un’estetista è un imprenditore che deve lavorare per la propria azienda sviluppandone l’attività, è necessario guardare al futuro con lungimiranza cercando di cogliere le maggiori soddisfazioni possibili, ed è per questo motivo che nel futuro di ogni istituto non potrà mancare l’autoclave.

 
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